Nell’introdurre questo articolo, dedicato alla visita che il segretario del Partito comunista italiano Palmiro Togliatti fece a Biella nel maggio del 1945, è d’obbligo fare una premessa: data la totale mancanza di documenti ufficiali (motivata dal fatto che le istituzioni dello stato italiano al Nord andavano lentamente riorganizzandosi dopo le caotiche giornate seguite all’insurrezione del 25 aprile e al successivo arrivo degli Alleati), per riportare alla memoria quell’evento abbiamo dovuto fare affidamento sulle uniche testimonianze disponibili, e cioè le cronache dei giornali dell’epoca.
Tenuto conto dell’orientamento politico di "Vita Nuova", organo della federazione biellese del Partito comunista italiano, e di "Baita", foglio informativo della XII divisione Garibaldi diretto dal commissario politico (comunista) della medesima formazione partigiana Francesco Moranino "Gemisto", non deve sorprendere il tono apertamente propagandistico da essi adottato nel descrivere la visita–lampo del segretario del P.C.I. nella nostra città e nel riportare la sintesi del suo discorso alla folla convenuta per l’occasione.
Privo di qualsiasi enfasi appare invece il resoconto de "il Biellese" (che dedicò al leader comunista solo un trafiletto in quarta pagina, nella rubrica "Cronaca cittadina"), ancora cauto nello schierarsi apertamente contro il fronte progressista.
Proveniente da Milano, Togliatti (che oltre ad essere segretario del Partito comunista italiano rivestiva la carica di Vice Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia nel governo guidato da Ivanoe Bonomi) fece tappa a Vercelli nella tarda mattinata di mercoledì 23 maggio 1945: «È giunto quasi improvviso tra i lavoratori vercellesi Palmiro Togliatti – commentò "Baita" – È giunto senza strombazzamenti e cartoline precetto di invito. Pochi minuti prima del suo arrivo tra il popolo, questo è sceso compatto nelle strade e nelle piazze. Gli operai in tuta di lavoro, con grandi cartelli inneggianti al comunismo, al proletariato, all’Italia libera e democratica, sono le avanguardie del popolo vercellese assiepato lungo il probabile percorso di Togliatti».
È lecito avanzare qualche dubbio sulla totale spontaneità dell’iniziativa popolare: la presenza di cartelli e bandiere farebbe piuttosto pensare ad un’accoglienza organizzata e un ulteriore indizio in tal senso pare emergere dalla frase successiva – «[mentre] la folla si agita attorno al compagno [Togliatti] le scritte si moltiplicano senza sapere come – in cui sembra evidente l’intento di insistere sull’assoluta genuinità delle manifestazioni di entusiasmo.
Il leader comunista si portò presso la sede del comando piazza di Vercelli dove fu accolto da Vincenzo "Cino" Moscatelli, leggendario comandante delle formazioni partigiane della Valsesia, «dai capi della XII Divisione Garibaldina Nedo [il cronista di "Baita" non lo specifica ma è probabile che fosse presente anche Francesco Moranino] e dai compagni responsabili».
Affacciatosi al balcone dell’edificio, Togliatti indirizzò alla folla un discorso sostanzialmente equilibrato che lasciò poco spazio a dichiarazioni apertamente «rivoluzionarie»; in particolare sottolineò il «rispetto che i comunisti [avevano] per le credenze religiose tradizionali del popolo» e si disse convinto che «solo nell’unità si [potevano] risolvere i problemi contingenti e nazionali, e solo in un regime democratico e repubblicano si [potevano] attuare le aspirazioni delle masse lavoratrici».
Il segretario del P.C.I. concluse ringraziando i lavoratori vercellesi per «l’entusiastica accoglienza» e, dopo essersi intrattenuto ancora per qualche attimo con i locali dirigenti comunisti, risalì sull’auto e prese la strada per Biella.
Già due ore prima del suo arrivo «alcune migliaia di lavoratori […] abbandonarono senz’altro ogni loro occupazione per recarsi lungo la via principale della città e principalmente verso i pubblici giardini [… e] nonostante la lunga attesa nessuno [lasciò] intravvedere alcun segno di stanchezza, nessuno [abbandonò] il proprio posto»: tutti erano infatti ansiosi di vedere e ascoltare l’uomo che incarnava «la chiara persuasiva parola che [era] la parola del Partito Comunista, il Partito della classe proletaria, la parola del Partito che da oltre venti anni [aveva] lottato inflessibilmente sotto qualunque forma di illegalità, contro ogni forma di oppressione fascista […]» ("Vita Nuova", 31.05.1945).
Togliatti fece il suo ingresso nella città laniera intorno alle 15 e 30 da via Cernaia, proseguì lungo via Vittorio (via Repubblica) e via Lamarmora e risalendo via Umberto (via Italia) raggiunse piazza Q. Sella, già ribattezzata piazza Martiri della Libertà.
"il Biellese" non poté non sottolineare, con un pizzico di malignità, che il percorso seguito dall’auto del leader comunista aveva di fatto tagliato fuori corso Regina Margherita (oggi corso Giacomo Matteotti) «dove si erano ammassate tutte le maestranze dei Lanifici Rivetti».
Dall’alto del balcone del Liceo il segretario del P.C.I. rivolse alla folla che si era radunata in piazza Martiri recando con sè anche alcuni cartelli con la scritta «Vogliamo Togliatti capo del governo», un discorso sostanzialmente simile a quello pronunciato poche ore prima a Vercelli.
Dopo un caloroso saluto a «Biella operosa» e al suo «forte popolo lavoratore che coll’opera sua tenace aveva contribuito alla vittoria finale contro il nazifascismo», Togliatti si concentrò sui temi di attualità politica insistendo sui compiti che spettavano al proletariato italiano e più in generale a tutti gli italiani, «al di sopra delle idee politiche e delle fedi religiose», per portare avanti un’efficace opera di ricostruzione dello stato; rivendicò i meriti del Partito comunista, capace di «combattere per la libertà e per gli ideali» e di indicare «la strada per difendere gli interessi non di una classe o di una casta ma per gl’interessi di tutti gli italiani»; mandò un saluto all’Unione Sovietica e «al suo valoroso esercito che lottò con sforzo immane per distruggere la tirannia nazi-fascista, a quell’esercito che diede il massimo contributo di sacrificio e di sangue per raggiungere la vittoria», ma preferì non citare direttamente gli Alleati angloamericani, limitandosi ad esprimere riconoscenza verso «tutti i paesi democratici per l’opera loro nella liberazione dei popoli oppressi».
Il leader comunista insistette poi, per ben due volte, sulla necessità di eliminare i residui del fascismo dalla società italiana: «Per raggiungere il compito da noi propostoci per salvarci da quella triste eredità lasciataci dal fascismo in oltre vent’anni di cattivo governo dobbiamo distruggere completamente tutti quelli che sono stati gli autori e i complici di coloro che hanno portato il nostro paese alla rovina […] Finito il fascismo dobbiamo fare sparire tutte le sue radici e ce ne sono molte […]» ("Vita Nuova", 31.05.1945).
Va ricordato che all’incirca un anno dopo, nel giugno del 1946, lo stesso Togliatti, in veste di Ministro di Grazia e Giustizia del governo De Gasperi, avrebbe avallato il provvedimento di amnistia che di fatto poneva fine al processo di defascistizzazione dello stato.
La conclusione del discorso, imperniata sull’esortazione a riorganizzare i partiti, i sindacati, le cooperative, a ricostruire le case del popolo che il fascismo aveva distrutto, a riprendere «insieme le vie della libertà, verso il trionfo delle forze del lavoro», suscitò «lunghi e calorosi» applausi.
Togliatti lasciò quindi la parola al biellese Pietro Secchia, antifascista di lunga data e membro del Comitato centrale del P.C.I., il quale oltre a rimarcare l’importanza avuta dalla lotta partigiana nella liberazione dell’Italia, non esitò a dichiarare che «poiché i veri responsabili del fascismo [erano] stati gli industriali che lo [avevano] finanziato, non [era] ad essi che [andavano] ridati gli stabilimenti salvati dall’eroismo del popolo» ("Baita", 30.05.945).
Dopo Secchia, anche "Cino" Moscatelli e Francesco Moranino "Gemisto", acclamati a gran voce, rivolsero il loro saluto alla folla.
Al termine degli interventi degli oratori, Togliatti salutò i presentì e ripartì in direzione di Torino.
Il segretario del P.C.I. tornò a Biella cinque anni dopo, nel 1950, per le celebrazioni del Primo Maggio e anche in quell’occasione tenne il suo comizio in piazza Martiri.
Le fotografie provengono dall'archivio Cesare Valerio, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
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