Parlando del Carnevale di Biella è d’obbligo soffermarsi, seppur brevemente, sulla maschera che tradizionalmente ne è l’emblema, e cioè Gipin.
Sulle origini di questo personaggio Luigi Pralavorio ha scritto nel 1979 un saggio breve ma molto interessante, dal quale abbiamo tratto le informazioni sotto riportate.
Il primo documento in cui si parla della maschera biellese è "’L Gepin e la Vecia" (1911) del prof. Alessandro Roccavilla, le cui indicazioni sono state in seguito riprese dalla studiosa di folklore Amy A. Bernardy nel volume "Forme e colori di vita regionale italiana" (1926) e da Pietro Torrione e Alessandro Crovella nel libro "Il Biellese" (1963).
Roccavilla ha scritto che «la maschera di Gepin è originaria di Camandona, paesello tutto ombrie di castagni, dai declivi smeraldini. Il Gepin è un vecchietto vegeto e robusto, sulle cui labbra scoppiettano motti arguti e pungenti. Ha ancora del macigno, ma se le scarpe ha grosse, il cervello ha fine»; Gipin veste «di panno grosso, di mezza lana, con la tinta color mattone. Una varietà talvolta si riscontra nelle alte uose bianche anzi che rosse […] Porta sempre gli "scafarotti", calzatura usata ancora dai contadini, che però passa di moda»; parla poi «il dialetto puro biellese, ma non della città, della montagna: facilmente si irrita e grida con sfoggio di proverbi paesani».
La "Vecia", moglie di Gipin destinata a divenire nel tempo prima Gipina e poi Catlin-a, è «pettegolina, curiosa, ed ha imparato a conoscere il mondo attraverso la cronaca del suo paese: maliziosetta alle volte, ma tutta piena di timor di Dio»; è solitamente armata di un grosso ventaglio nero, sostituito a volte dal «canestro con le nocciole (nosit)».
Nelle rappresentazioni carnevalesche degli anni Venti e Trenta sia Gipin che Catlin-a portavano sul viso una maschera dagli zigomi pronunciati e rubicondi: ad abolirne l’uso fu Francesco Gallina, interprete di Gipin dal 1947 al 1971, il quale preferì affidarsi alla propria mimica facciale.
Sulla figura di Gipinòt, Pralavorio ha scritto: «La gradevole coppia, per qualche tempo, ha avuto un figlio: Gipinòt, rampollo suggerito dalla presenza – anni dal 1930 al 1956 – di una persona caratteristica per la minuscola statura, l’umore faceto e la disposizione alla gaia combriccola: si chiamava Cleto Rivetti, ed aveva l’età dei suoi genitori, se non di più».
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