La tradizione del Carnevale ha origini antiche, che risalgono addirittura all’epoca romana.
Per evitare al lettore di perdersi in una lunga e noiosa ricostruzione di queste origini, preferiamo qui occuparci del Carnevale di Biella nella forma che siamo abituati a conoscere.
Nel secolo scorso, il Novecento, il Carnevale biellese ha vissuto tra la metà degli anni Venti e la fine degli anni Trenta momenti di intensa e sentita partecipazione, seguiti poi da un lungo periodo di distacco e disaffezione da parte del pubblico, che è durato fino alla fine degli anni Settanta e durante il quale pure non sono mancate edizioni caratterizzate da un lodevole sforzo organizzativo; nella memoria di molti ci sono ancora le iniziative che hanno caratterizzato le celebrazioni carnevalesche degli anni Ottanta (su tutte primeggiano le sfilate di carri allegorici di Biella, Chiavazza e Pavignano) in confronto alle quali ben "misere" appaiono le rappresentazioni odierne.
Di fondamentale importanza nella storia del Carnevale biellese è l’edizione del 1926, in cui per la prima volta fece la sua comparsa il "Processo al Babi": «Il 1926 – ha scritto recentemente Marco Conti – con la comparsa della nuova maschera e di un momento di grande partecipazione, diventa ad ogni modo l’anno che divide e contrassegna la storia recente del carnevale di Biella».
Grandi feste e un imponente sforzo organizzativo contraddistinsero il periodo a cavallo tra la fine degli anni Venti e la prima metà degli anni Trenta: animatore di quelle edizioni, anche in veste di ideatore e realizzatore di carri allegorici, fu senza dubbio Pippo Ferrini, personaggio poliedrico protagonista della vita artistica biellese fino alla sua scomparsa avvenuta nel 1941.
Con l’approssimarsi della guerra le preoccupazioni legate ad un futuro incerto e i limiti imposti dalle autorità di polizia in materia di ordine pubblico fecero sì che la celebrazione carnevalesca fosse vissuta sempre più con distacco.
Dopo la guerra il Carnevale stentò a riprendersi e a tornare ai fasti degli anni precedenti.
Le difficoltà legate alla ricostruzione, le modificazioni sociali che anche la società biellese cominciava a subire (nelle parole di Conti, «speranze di emancipazione, flussi migratori, progettualità prima sconosciute ai ceti meno abbienti») fecero sì che la rappresentazione del Carnevale diventasse sempre più appannaggio della fascia più giovane della popolazione, in particolare quella rappresentata dagli studenti degli istituti superiori (a quel periodo risale la comparsa del giornale satirico carnevalesco "L’orso schizofrenetico").
Durante gli anni Cinquanta l’organizzazione del Carnevale passò dal Comitato al Consiglio Famigliare mentre quartieri cittadini, come il Vernato e il Piazzo, e comuni limitrofi, come Chiavazza, si fecero promotori di nuove iniziative legate alla ricorrenza: il tratto distintivo di quegli anni, e del decennio successivo, fu comunque il progressivo disinteresse e disimpegno da parte delle istituzioni, delle associazioni e degli enti.
Nel 1961 scomparvero i giochi popolari, che nelle edizioni dell’anteguerra avevano sempre rivestito un ruolo di primo piano, e fu soppresso anche il ballo del lunedì (decisione questa motivata dalla scarsa partecipazione dell’anno precedente, che aveva prodotto un bilancio in passivo); ancora peggio andò nel 1962 quando, per mancanza di fondi, non fu organizzata la sfilata in costume, anche se fu mantenuta la tradizione della fagiolata e si iniziò a parlare di Carnevale per i bambini.
Una chiave di lettura di questo distacco, che si manifestò in una società (quella biellese, ma in generale quella italiana di quegli anni) avviata verso la modernizzazione, può essere individuata nell’antitesi tra il concetto di "moderno" e il Carnevale, tra simboli quali l’automobile, la televisione, le vacanze estive, emblemi della modernità, e la celebrazione del Carnevale, che pur essendo sempre uguale negli anni appariva allora come qualcosa di antico e superato: «[…] il carnevale – ha osservato efficacemente Conti – di moderno non ha nulla, per quanto esso appartenga a quei riti che si ripetono senza un mito di fondazione».
Certo è che se sulla "Rivista Biellese" del febbraio 1955 Giovanni Richieri plaudeva all’edizione appena conclusa apprezzandone l’organizzazione e la partecipazione di pubblico, meno di dieci anni dopo (1964), sulla rivista "Biella" Giuseppe Cavallo intitolava significativamente il suo articolo "Carnevale… se ci sei batti un colpo!".
Lo studioso biellese stilava un bilancio desolante delle celebrazioni di quell’anno, caratterizzate quasi esclusivamente dalle «fagiolate rionali, [dalla] visita agli Enti Benefici, [da] qualche baraccone da fiera davanti ai Giardini Pubblici e [dalla] solita "carrettera" degli studenti»: nulla a che vedere con il Carnevale del 1959, «quello che rappresentò il massimo della grandiosità e della riuscita […] il più splendido ma purtroppo anche l’ultimo», durante il quale il pubblico ebbe la possibilità di ammirare «la costruzione della Gran Baita, il meraviglioso Corso dei Carri, l’elezione delle Catlinette nei paesi del Circondario e quello della Catlina a Biella, il Processo del Babj, il riuscitissimo Ballo del Lunedì, i Fuochi d’artificio, l’ingaggio di artisti e cantanti di grido».
Una sorta di ripresa avvenne nei primi anni Settanta, quando il fulcro dell’organizzazione carnevalesca divenne il rione Vernato–Thes: la maschera tradizionale di Biella, Gipin, riassunse il ruolo di primo piano che le competeva nella rappresentazione del Carnevale, mentre la sfilata dei carri allegorici, delle maschere e delle majorettese divenne l’evento più importante e di richiamo di tutta la celebrazione.
Il breve periodo di gloria cessò però bruscamente nel 1974 con l’avvento dell’ "austerity": le ristrettezze legate alla crisi petrolifera indussero infatti gli organizzatori a ridurre i festeggiamenti, che furono limitati alla sfilata di maschere lungo via Italia e alle serate danzanti, tanto che "Eco di Biella" titolò l’11 febbraio 1974 "Hanno ucciso il Carnevale".
La rinascita delle maschere è legata agli anni Ottanta, a nostro giudizio il periodo di maggior partecipazione popolare e di fasto organizzativo degli ultimi trent’anni.
Marco Conti ha individuato nell’incontro «tra un modello sociale edonistico [tipico di quegli anni] e il divertimento portato agli eccessi» il motivo del rinnovato interesse nei confronti della festa carnevalesca.
Nel 1982, dopo parecchi anni di assenza, fu ripresentato il "processo al Babi"; da allora la rappresentazione, affidata a Beppe Pillitteri, si è ripetuta ogni anno ed è assurta a evento conclusivo del Carnevale di Biella.
Al 1984 risale la prima edizione de "La folle notte del Piazzo", occasione di ritrovo per le maschere (e non solo) che ha sostituito il tradizionale ballo del lunedì.
Altro evento caratterizzante e di grande richiamo è stata la sfilata dei carri allegorici, consuetudine ripresa nel 1983 e proseguita fino al 2003.
La fotografia proviene dall'archivio Cesare Valerio, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
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