Il Biellese terra di lanieri … ma non solo.
Se quella della lana, come hanno scritto ormai più di cinquant’anni fa Pietro Torrione e Virgilio Crovella, «è la tipica industria biellese, sulla quale si impernia tutta l’economia locale, sviluppatasi e perfezionatasi dall’antico artigianato della lavorazione della lana, le cui origini sono assai remote», degne di menzione sono anche altre attività produttive di carattere artigianale legate al nostro territorio le quali, pur sopravvivendo oggi solo sui libri, nei tempi passati hanno avuto grande rilevanza e, in alcuni casi, una fama che è andata al di là dei confini del Biellese.
Mario Scarzella, introducendo i risultati della sua meticolosa ricerca sull’artigianato rurale biellese (alla quale faremo riferimento nelle righe che seguono e alla quale rimandiamo i lettori per un quadro più completo e preciso sull’argomento) ha affermato: «Poche regioni come la nostra hanno avuto una tradizione artigianale così protratta nel tempo, così perfezionata ed apprezzata. Solo la crescente produzione a basso costo dell’industria potè avere ragione di una lavorazione che fece conquistare ai manufatti biellesi una indiscussa superiorità sotto ogni aspetto».
La nostra panoramica sui vecchi mestieri praticati nel Biellese parte dalla lavorazione del metallo.
A Mongrando, Donato e Netro la produzione di falci, pale, zappe, martelli e cazzuole, realizzata in modesti capannoni situati nei pressi dei corsi d’acqua, era legata ad artigiani solitamente imparentati fra di loro, il che permetteva la suddivisione delle varie fasi di lavorazione; nel 1898 a Mongrando e Netro erano attive all’incirca trenta fucine, i cui prodotti recavano diversi marchi identificativi (tre croci, la testa di re Vittorio, un’aquila).
Propria della zona di Masserano era la fabbricazione di lamine per coltelli, legata al nome della famiglia Sella e durata per quasi un secolo dalla metà dell’Ottocento agli anni quaranta del XX secolo.
Anche la produzione di serrature era localizzata nel Biellese orientale, a Cossato e Casapinta: si trattava di prodotti di alto livello tecnico, che avevano mercato non solo in Italia ma anche all’estero.
Ad Andorno aveva invece sede la ditta dei Fratelli Mussone, specializzata nella costruzione di casseforti.
Un’altra attività con una lunga tradizione alle spalle era quella inerente la costruzione di organi.
Ben 150 erano le botteghe artigiane disseminate sul territorio dei comuni di Sagliano, Miagliano e Andorno: anche in questo campo, come in quello della lavorazione del metallo, gli artigiani erano legati tra loro da vincoli di parentela, che permettevano di sostituire alla concorrenza la cooperazione.
Gli organi costruiti in questa zona hanno avuto diffusione nelle chiese del Biellese, della Valsesia, del Canavese, della Valle d’Aosta e della Liguria: degno di nota è l’organo realizzato dai Fratelli Bruna per la chiesa di San Lorenzo di Andorno, che conta duemila canne.
La vasta diffusione degli zoccoli, che nell’ambiente rurale biellese rappresentavano il tipo di calzatura predominante, portò alla diffusione di botteghe artigiane specializzate nella loro costruzione: il centro più fiorente era di gran lunga Viverone, seguito da Masserano e da Ronco.
Alcuni rapidi cenni sulle fasi di lavorazione: i tipi di legno solitamente utilizzati erano l’ontano e il salice; la fase di sgrossatura avveniva per mezzo del "manarin a piulot" (una specie di accetta); il "coutel da banc" serviva alla sagomatura, il "passa talun" alla preparazione del tacco mentre con il "coutel drit" veniva realizzata l’orlatura esterna su cui si inchiodava la tomaia.
La produzione di zoccoli richiamava nel centro lacustre operai specializzati valdostani provenienti dalla Valle di Ayaz.
Graglia era invece la patria dei selciatori: «[…] per generazioni, da padre in figlio, si sono trasmessi i segreti di questa attività artigianale che richiedeva, oltre che robustezza, anche abilità e intelligenza» (Scarzella).
I lavoratori specializzati in questa attività erano per la gran parte operai alle dipendenze di impresari di Biella; i lavori di pavimentazione iniziavano di norma a maggio e proseguivano fino a metà dicembre, con turni di lavoro di 9/10 ore al giorno: tre operai erano in grado di pavimentare in una giornata 24 metri lineari.
Tutti gli strumenti di lavoro, ad eccezione del seggiolino, erano forniti dall’impresario; il materiale utilizzato proveniva di solito dal greto dei torrenti Cervo e Elvo.
Tra gli attrezzi di lavoro dei selciatori spiccava la "dama" (tronco di legno a forma di cono, alto circa un metro, con al fondo una piastra di metallo) utilizzata per conficcare le pietre nel terreno; c’era anche una versione interamente di metallo, pesante 15 kg, che serviva alla rifinitura.
Molto diffuso tra la popolazione di Sostegno era il mestiere di stuccatore.
Gli artigiani dediti a questa attività erano spesso reclutati da imprenditori svizzeri e francesi (le città con maggior presenza di stuccatori biellesi erano Lione e Chambery).
Il lavoro durava solitamente da marzo a dicembre e prevedeva 10 ore di lavoro al giorno, sette giorni su sette.
La famiglia Gualino, custode del segreto sul metodo per imitare con lo stucco il marmo, arrivò a lavorare per gli Zar di Russia a Mosca e a Pietroburgo.
Diffusi in quasi tutte le vallate biellesi (con leggera preponderanza ad Andorno e Roppolo) erano poi gli stagnini, esperti nella fabbricazione e riparazione di stoviglie.
Un'altra attività artigianale era la fabbricazione manuale di mattoni, trasformatasi in seguito in vera e propria industria; le grossi fornaci di Occhieppo Inferiore, specializzate nella produzione di laterizi, risalgono al 1700.
Concludiamo questa rapida carrellata con tre mestieri in un certo senso collegati tra loro: i maniscalchi, i sellai e i carradori.
Quello dei maniscalchi era un artigianato molto diffuso che richiedeva abilità, prestanza fisica e resistenza alle intemperie (il lavoro era svolto all’aperto per tutto l’anno); questi artigiani indossavano una sorta di divisa, costituita da pesanti scarpe ai piedi, da un grembiule di spesso cuoio, da una camicia di panno pesante con le maniche regolarmente arrotolate fino al gomito e da un berretto di stoffa leggera valido per tutte le stagioni.
I sellai erano presenti in tutti i centri più importanti del territorio, compresa Biella (ricordiamo le botteghe Boffa, Cossavella, Gallina e Tasca).
Uno dei momenti di maggior lavoro era rappresentato senza dubbio dalla fiera dei cavalli, che si svolgeva nella città laniera a maggio: nella zona compresa tra i Giardini Pubblici e l’attuale viale Matteotti venivano installati box prefabbricati in legno destinati ad ospitare cavalli, muli e asini.
La testa di un cavallo con le narici dilatate e con gli occhi spalancati, realizzata in legno e verniciata di un colore scuro, era la tipica insegna della bottega di un sellaio.
Per finire i carradori, esperti nella costruzione di carri agricoli: più che di artigianato si trattava di una vera e propria arte tramandata di generazione in generazione.
Tra i carradori più conosciuti citiamo i Cariola di Chiavazza, gli Uberti Bona di Zumaglia e gli Aglietta di Pavignano.
(Leggi anche I cadregat di Cossila e le terrecotte di Ronco e Ternengo e Artigiani edili biellesi)
La fotografia proviene dall'archivio Cesare Valerio, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
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