All’origine della nascita degli ospizi marini, da cui discendono le colonie per l’infanzia, sta l’intuizione del medico fiorentino Giuseppe Barellai (1813-1884) convinto sostenitore dell’efficacia della talassoterapia nella cura della scrofola, una forma di tubercolosi extrapolmonare.
Al primo stabilimento, entrato in funzione a Viareggio nel 1856, ne seguirono altri sulle coste della Liguria, della Toscana e dell’Adriatico; l’estensione dell’intervento medico alla cura del rachitismo fece sì che gli ospizi marini dedicassero le loro attenzioni prevalentemente ai bambini appartenenti alle classi più povere e disagiate.
A partire dagli anni Venti questa impostazione mutò e le colonie estive iniziarono a configurarsi come delle vere e proprie città dell’infanzia con compiti educativi: su iniziativa del regime fascista, coadiuvato dalle grandi industrie, sorsero sulle coste italiane complessi enormi in grado di ospitare anche più di mille bambini (la Novarese e la Bolognese di Rimini avevano rispettivamente 900 e 2000 posti letto, la Torre Fiat di Marina di Massa 750).
Accanto alle colonie marine stavano quelle montane ed elioterapiche, anch’esse istituite allo scopo di migliorare le condizioni fisiche dei giovani ospiti e di favorirne lo spirito di aggregazione.
Nel secondo dopoguerra le iniziative di riattivazione o di fondazione dei soggiorni estivi furono ancora legate alle grandi industrie, alla cui azione si affiancò anche quella della Pontificia Opera di Assistenza (divenuta poi Caritas).
L’esperienza delle colonie estive durò fino agli Settanta del secolo scorso, per poi affievolirsi e scomparire nel corso degli anni Ottanta e Novanta.