Biella, martedì 24 aprile 1945.
All’alba i circa 200 uomini del contingente tedesco, dopo aver dato alle fiamme i documenti conservati negli archivi del comando di via XX settembre, abbandonano la città imboccando la strada per Vercelli: «[…] verso le ore sei un lungo corteo automobilistico percorre le strade cittadine, s’immette in via Torino e lascia Biella. Sono i tedeschi; se ne vanno, se ne vanno» ("Biella Libera", 8 maggio 1945, n.1, citata in P. Ambrosio, "Festa d’aprile").
L’onere di difendere la città ricade così interamente sulle truppe fasciste repubblicane che assommano a circa 400 uomini, suddivisi tra il battaglione "Pontida" comandato dal maggiore Carlo Zanotti e la Brigata Nera "B. Ponzecchi"; il 115° battaglione "Montebello" schiera invece 200 uomini a Cossato, 80 nel presidio di Vallemosso e 100 in quello di Salussola.
Il Comitato di Liberazione Nazionale di Biella, riunito in seduta permanente, sta valutando la possibilità di addivenire ad un accordo con i fascisti per evitare i combattimenti in città; della stessa idea è il maggiore Zanotti, il quale convoca don Antonio Ferraris, direttore spirituale del Seminario, chiedendogli di fare da intermediario: «Fin dal primo momento – ricorderà anni dopo il sacerdote originario di Ronco Biellese – Zanotti affermò che intendeva lasciare la città senza usare le armi, ossia andarsene, se lo avessero lasciato andare».
Il Cln accoglie la proposta dell’ufficiale fascista, aggiungendo però che è necessario ottenere garanzie anche dall’altra formazione repubblicana presente sul territorio, il 115° battaglione "Montebello"; don Ferraris inforca quindi la sua bicicletta e si precipita a Cossato, sede del comando del battaglione: «[…] presi lo stradone di Cossato. Erano quasi le nove. Dappertutto regnava ancora una relativa, la solita tranquillità. I ragazzi a frotte si avviavano alla scuola. Le donne di casa, con i tagliandi della tessera, si avviavano verso i negozi. Gli opifici battevano regolarmente, aperte le botteghe degli artigiani. Verdi e fioriti i prati: soltanto sulla cresta delle colline intravedevo qualche rara pattuglia partigiana. Nessuno ancora sapeva che forse eravamo alla fine o al principio della fine».
Don Ferraris parla di «solita tranquillità», ma in realtà nei giorni precedenti sono intervenuti degli eventi che hanno di fatto segnato l’inizio della fase pre–insurrezionale.
Il 18 e il 19 aprile nella gran parte degli stabilimenti industriali di Biella e del circondario il lavoro è stato sospeso: «[…] a Biella incominciarono azioni isolate di sciopero, il giorno 18, in alcuni stabilimenti cittadini: i lanifici Reda, Mello e Pagani […] il giorno seguente le fabbriche non lavorarono; i partigiani bloccarono le tramvie che collegavano la città con il circondario e fermarono il materiale rotabile nelle stazioni più lontane; le scuole restarono quasi vuote. Gli stessi industriali mandarono a casa gli operai che si presentarono» (A. Poma, G. Perona).
Le autorità fasciste si sono dimostrate indecise sul metodo da adottare per contrastare l’iniziativa partigiana.
Il 18 aprile il capo della provincia Michele Morsero ha prima intimato al capitano Sora del "Pontida" di astenersi dall’assumere provvedimenti drastici contro l’astensione dal lavoro (l’ufficiale ha proposto la chiusura a tempo indeterminato degli stabilimenti, il versamento delle paghe alla Prefettura da parte degli industriali per il periodo di chiusura, l’istituzione del coprifuoco per l’intera popolazione dalle ore 16 alle 8 del mattino, l’obbligo ai direttori degli stabilimenti di comunicare la situazione al comando del battaglione); poi, rivolgendosi ai dirigenti politici e amministrativi biellesi, ha ordinato di procedere con energia indirizzando «l’azione contro gli scioperi alla ricerca dei "sobillatori al soldo del nemico"» e operando «in fattiva collaborazione coi comandi germanici» (A. Poma, G. Perona).
Di fronte alla massiccia estensione dello sciopero avvenuta il giorno 19, il segretario del Fascio di Biella Antonio Giraudi ha insistito per ottenere l’autorizzazione a procedere all’arresto delle persone ritenute responsabili, ricevendo tuttavia risposta negativa: il maggiore Zanotti ha addirittura ordinato al capitano Sora di «bloccare l’intransigenza del segretario del fascio biellese e di arrestarlo se avesse tentato azioni avventate» (P. Ambrosio, "Biellese e Vercellese").
Un rapporto redatto dal segretario della Federazione comunista biellese Giovanni Vogliolo segnala che anche agenti di polizia in borghese si sono adoperati per impedire l’accesso alle fabbriche agli operai presentatisi al lavoro: «La notizia può essere interpretata in un solo modo: era interesse di alcuni gerarchi fascisti far riuscire lo sciopero perché avere le fabbriche vuote significava impedire agli operai di organizzarsi» (P. Ambrosio).
Consapevoli dei preparativi insurrezionali, i tedeschi (con il supporto dei repubblicani) hanno deciso di anticipare le mosse dei garibaldini scatenando una violenta offensiva: il 19 aprile hanno attaccato le formazioni partigiane dislocate sulla Serra (75ª brigata della V divisione Garibaldi "Piemonte", 76ª e 183ª della VII divisione Garibaldi "Aosta") riuscendo ad occupare Sala, la "capitale" della resistenza biellese; quattro giorni dopo hanno concentrato i loro sforzi nella Valle del Cervo e in quella di Mosso contro gli uomini della 2ª brigata "Pensiero", i quali pur con grandi difficoltà sono riusciti a sottrarsi all’accerchiamento e a mantenere una linea difensiva che da Pettinengo si snoda fino a San Giuseppe di Casto, passando per Selve Marcone.
L’offensiva ha di fatto allontanato i partigiani da Biella, permettendo così ai tedeschi di organizzare indisturbati il ripiegamento che avviene alle prime luci del 24 aprile.
Torniamo ora a don Ferraris.
Giunto a Cossato, l’intrepido sacerdote si incontra con il capitano Barretta del "Montebello", ma la trattativa si rivela assai complicata: «La truppa stava autocarrata e in pieno assetto di guerra; non era difficile raccogliere segni di impazienza […] Riuniti in consiglio di guerra esaminarono tutte le possibilità: partire armati verso Novara? O verso Biella? Incertezza! Non si riusciva a telefonare ai comandi superiori di Vercelli: incombeva l’isolamento e, soprattutto, incombeva la decisione presa da Zanotti del Pontida che contrastava ai propositi, sempre insieme coltivati, dello scontro frontale».
Mentre a Cossato la situazione non accenna a sbloccarsi, a Biella i fascisti cominciano a muoversi: «[…] arrivano altri autocarri e sostano a piazza Adua col cofano nella direzione di Candelo; sono gli automezzi dei fascisti, costoro arrivano alla spicciolata con valigie, sacchi involti di ogni specie e si dispongono alla partenza. Passano le otto, le nove, mezzogiorno, passano le prime ore del pomeriggio e gli autocarri fascisti sono ancora fermi; verso le 18 non li vediamo più, se ne sono andati» ("Biella libera").
La ritirata dei legionari del "Pontida" (che prima di abbandonare la città fanno ancora in tempo ad uccidere tre civili) è ostacolata dai garibaldini della 2ª brigata, i quali inferiscono duri colpi alla colonna lungo il tragitto da Biella a Massazza.
Poco dopo la partenza del "Pontida", una delegazione del 115° battaglione "Montebello" si reca in città per trattare la resa.
Intorno alle ore 18 i garibaldini del battaglione "Talpa" (2ª brigata) entrano a Biella percorrendo via Italia: «La folla, che prima aveva seguito in silenzio, cauta nella tema di agguati, il movimento dei tedeschi e di fascisti, non si contiene più. Con un moto spontaneo, commovente, grida tutto il suo entusiasmo, applaude, copre di fiori i combattenti del popolo, le finestre, in pochi minuti, sono tutto un tripudio di tricolore. La libertà attesa, dopo oltre vent’anni di persecuzioni, incomincia ad albeggiare; è la vita che ritorna» ("Biella libera").
L’incubo è finito, Biella è libera.
Le fotografie provengono dall'archivio Cesare Valerio, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella (È vietata la riproduzione e la diffusione delle immagini senza la preventiva autorizzazione del titolare dei diritti).
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