SOTTO ACCUSA DURANTE L'ALLUVIONE DEL 1968

 

Nella notte tra il 2 e il 3 novembre 1968 il Biellese orientale, e in particolare la Valle Strona, fu duramente colpito da una devastante alluvione, che provocò 58 vittime (tra morti e dispersi) e oltre 100 feriti e causò la distruzione o il danneggiamento di 130 imprese industriali, 350 aziende artigianali, 400 esercizi commerciali; 250 furono le abitazioni distrutte dalla furia delle acque dello Strona e dei suoi affluenti ingrossate dalla pioggia incessantemente caduta in quei giorni, 300 le famiglie rimaste senza tetto.

 

I danni furono stimati intorno ai 30 miliardi dell’epoca.

 

 

Nelle ore immediatamente successive al disastro la diga di Camandona divenne oggetto di voci allarmistiche (rivelatesi poi completamente prive di fondamento) che ne davano per imminente il cedimento e che indussero le autorità a prendere in considerazione l’ipotesi di evacuare la popolazione di Cossato: «La notizia che aveva fatto, ieri mattina ed ancora nelle prime ore del pomeriggio, trattenere il respiro alle popolazioni dei vari comuni addossati alle pendici sovrastate dalla diga stessa, si è mostrata del tutto infondata. Le autorità responsabili, che con l’elicottero avevano ieri sorvolato il grosso bacino artificiale, hanno raggiunto con esperti la località ed hanno constatato che nessun pericolo può provenire da quella parte. Occorre perciò smontare il panico che ancora ieri sera si andava diffondendo. La diga ha resistito» ("Eco di Biella", 04.11.1968).

 

Le rassicurazioni non furono tuttavia sufficienti a distogliere l’attenzione dallo sbarramento di ponte Vittorio: si avanzò infatti il dubbio che l’anormale ingrossamento dei torrenti fosse stato provocato da manovre sconsiderate compiute dai tecnici della diga, preoccupati di ridurre rapidamente la capacità dell’invaso.

 

Per la seconda volta la realtà dei fatti si rivelò del tutto diversa, come s’incaricò di illustrare con dovizia di particolari "Eco di Biella" (07.11.1968): «La diga di Camandona non è responsabile del disastro in Vallestrona. Due volte è stata sotto processo, ma in entrambi i casi le voci allarmistiche hanno dovuto rientrare. […] in giornata di martedì, la diga è venuta [nuovamente] alla ribalta, e questa volta per un processo in piena regola aperto nei confronti dei suoi responsabili circa il modo in cui sarebbero state effettuate le manovre durante la notte dell’alluvione […] In realtà […] apparve subito chiaro che le manovre effettuate erano state le uniche correttamente possibili [in quella drammatica contingenza]».

 

Il giornale diretto da Carlo Caselli spiegò che durante la notte tra il 2 e il 3 novembre il geom. Ormezzano aveva dato ordine di interrompere il flusso nell’acquedotto onde evitare che l’acqua potesse fuoruscire senza controllo dalle condutture nel caso queste fossero state danneggiate da frane e smottamenti; successivamente, per abbassare il livello dell’invaso, aveva disposto il sollevamento parziale delle paratie e non, come si era ipotizzato, la loro totale apertura: «In effetti se una tale manovra fosse stata effettuata, 500.000 metri cubi di acqua avrebbero aggiunto altre devastazioni a quelle già verificatesi».

 

L’abbassamento del livello del bacino artificiale si era d’altra parte reso necessario al fine di ridurre al minimo il rischio che la caduta di una frana causasse il travaso dell’acqua dal bordo dello sbarramento (così come era successo nel disastro del Vajont).

 

 

Di fronte all’emergenza la diga di Camandona si rivelò quindi solida e affidabile, mentre il personale addetto seppe dar prova di elevata professionalità e capacità di giudizio.