Sono trascorsi più di cent’anni da quel fatidico 24 maggio 1915, data che segnò l’ingresso dell’Italia nella Prima guerra mondiale.
Si trattò di un conflitto differente da quelli che avevano caratterizzato il secolo precedente, un conflitto in cui il progresso tecnologico in campo bellico manifestò tutto il suo potenziale distruttivo: la mitragliatrice divenne uno dei simboli più noti e altresì macabri della Grande Guerra.
Circa dieci milioni furono i militari caduti, a cui si aggiunsero quasi altrettanti feriti e mutilati (le cifre riguardanti i civili, parimenti elevate, sono tuttavia approssimative e in alcuni casi contrastanti).
L’impegno profuso dall’Italia per giungere alla vittoria sull’Austria – Ungheria fu enorme: nel corso della guerra furono mobilitati sei milioni di uomini (su una popolazione di 36 milioni), si ebbe un considerevole rafforzamento del ruolo del governo e una mobilitazione industriale finalizzata ad accrescere rapidamente la produzione per lo sforzo bellico.
Le perdite in termini di vite umane superarono quota seicentomila.
Al termine del conflitto l’Italia, che per tre anni aveva saputo far fronte alle difficoltà interne e mostrarsi sostanzialmente unita nello sforzo verso una conclusione vittoriosa, fu nuovamente preda delle divisioni in campo politico; tra i motivi di scontro fra le opposte fazioni (nazionalisti, conservatori, protofascisti da un lato, socialisti dall’altro) ci fu anche il ricordo delle vittime della guerra, che si esprimeva attraverso la realizzazione di lapidi e di monumenti commemorativi.
Il Biellese, territorio che nel primo dopoguerra presentava una contrapposizione netta tra le forze politiche moderate e conservatrici e il movimento operaio e sindacale che faceva riferimento al Partito socialista, non poteva essere immune a queste problematiche: «Nel Biellese, roccaforte del socialismo e di sindacati operai la "produzione" di questo genere [lapidi e monumenti ai Caduti] fu molto diffusa, quasi un monopolio nel biennio rosso [1919–1920]», hanno confermato Cristiano Campagnolo, Nicolò Corbellaro e Stefano Giacomelli, autori della tesi di laurea "Monumenti ai Caduti della prima guerra mondiale nel Biellese", aggiungendo che «l’assurdità del conflitto, l’atrocità di tanti sacrifici umani, vennero quindi denunciati nelle tante lapidi affisse, dalle numerose amministrazioni locali socialiste, sui palazzi comunali e case del popolo».
La reazione degli avversari si concretizzò in una vera e propria "guerra contro le lapidi" (si veda il saggio di Luigi Moranino, "La "guerra contro le lapidi" nel Biellese antifascista"), che vide soprattutto nei fascisti i protagonisti principali, spesso con la compiacenza delle autorità governative; oggi è «difficilissimo trovare esempi ancora esistenti di questa fase [socialista]; il processo di affermazione del fascismo sulle altre forze politiche vide infatti un’azione spietata di distruzione di ogni simbolo, di ogni mezzo divulgativo di pensieri opposti […]».
Valdengo fu uno dei paesi teatro di questa "guerra"; come la quasi totalità dei comuni che formavano il circondario biellese, anche il piccolo centro del Biellese orientale, che nel 1914 contava circa ottocento abitanti, aveva versato il suo tributo di sangue alla causa della guerra: ventisei erano stati infatti i soldati valdenghesi uccisi nel conflitto.
Ma se netta era stata la contrapposizione nel primo dopoguerra, diverso fu l’atteggiamento nei confronti del ricordo dei caduti che caratterizzò gli anni successivi al secondo conflitto mondiale, causa di ulteriori lutti tra la popolazione valdenghese.
Intorno alla metà degli anni Cinquanta la locale sezione dell’Associazione nazionale combattenti e reduci, presieduta dal cav. Alfredo Zegna, manifestò l’intenzione di addivenire alla costruzione di un monumento in memoria delle vittime di tutte le guerre.
All’iniziativa si associò anche il Comune, che mise a disposizione 400.000 Lire e promosse una sottoscrizione pubblica per il reperimento dei fondi necessari; ulteriori contributi arrivarono dall’industriale Attilio Rivetti, il quale donò la somma di 300.000 Lire, e dallo stesso cav. Zegna, che si impegnò a coprire le spese residue per un totale di 500.000 Lire.
Il progetto, curato dal geometra Giuseppe Aragnetti di Biella, ricevette il plauso della stampa locale: «L’erezione di un monumento ai Caduti – commentò "il Biellese" (04.02.1955) – non è, in questi tempi, avvenimento tanto frequente. La guerra è cessata 10 anni or sono e le offese ricevute, le sofferenze sopportate, i danni patiti, i beni perduti, sono un ricordo assai lontano. L’onorare la memoria di Coloro che diedero tutto per la Patria, a tanto tempo di distanza, è cosa di alto significato».
Il luogo prescelto per accogliere l’opera commemorativa fu il piazzale racchiuso tra il palazzo comunale e le scuole.
La sottoscrizione fu aperta il 13 febbraio 1955.
Due settimane dopo (domenica 27 febbraio) si poté già procedere alla posa della prima pietra: «Con un rito semplice, famigliare, il popolo di Valdengo si è raccolto domenica mattina nel cortile del palazzo comunale per presenziare alla posa della prima pietra del Monumento che il paese ha stabilito di erigere alla memoria di tutti i morti di tutte le guerre» ("il Biellese", 01.03.1955).
Alla cerimonia prese parte anche un valdenghese doc, l’ex Presidente del Consiglio Giuseppe Pella, il quale insieme al sindaco Eraldo Boschetto, al comm. Rivetti, al geom. Aragnetti e ad altri rappresentanti delle istituzioni locali, provvide ad apporre la propria firma sulla pergamena – ricordo che fu poi posta nella pietra e sigillata con il cemento.
Dopo la benedizione impartita dal can. Ferrarotti, spettò al cav. Zegna pronunciare un accorato e commovente discorso rievocativo dei morti di tutti le guerre dal 1848 al 1945; in chiusura, la banda cittadina eseguì il «sempre patetico Inno del Piave».
Il lavori, appaltati alla ditta Guasco e Ramella di Quaregna, si conclusero intorno alla metà di maggio del 1955: l’inaugurazione fu così fissata per il giorno 22.
Un pubblico numeroso si radunò di prima mattina di fronte al piazzale su cui si ergeva il nuovo monumento, nascosto alla vista da un telo: «La manifestazione – commentò "Eco di Biella" – ha acquistato maggior rilievo in seguito alla decisione della presidenza provinciale dell’Associazione combattenti di celebrare a Valdengo la ricorrenza del 24 maggio. Una nutrita pattuglia di personalità ha così onorato della propria presenza il piccolo ma attivissimo centro biellese. Erano fra gli altri presenti […] il Vescovo mons. Carlo Rossi, il sindaco di Biella, presidenti o i rappresentanti di tutte le associazioni combattentistiche della Provincia […]»; un plotone in armi del C.A.R di Vercelli, affiancato ai carabinieri in alta uniforme, prestava il servizio d’onore, mentre nel cielo volteggiava un piccolo aeroplano intento a lanciare migliaia di striscioline tricolori sulle quali erano riprodotte le frasi incise sul monumento.
La cerimonia si aprì con il saluto del sindaco, cui fece seguito lo scoprimento del monolite commemorativo: «Quando, al suono dell’attenti, per mano dell’orfano di guerra Renzo Bramante, è caduto il velario che copriva il monumento […] dinanzi alla folla attonita che aveva visto riprodotto dai giornali il bozzetto di quello che avrebbe dovuto essere il semplice ricordo, è apparsa una figura bronzea: un soldato di vedetta, l’arme al piede, che con la mano destra si fa velo agli occhi fissi in attenzione nel vuoto dinanzi a scrutare lontano un eventuale nemico per darne l’allarme e rintuzzarne la tracotanza» ("il Biellese", 24.05.1955).
Mons. Rossi impartì la sacra benedizione, complimentandosi poi con i valdenghesi per la splendida realizzazione; i discorsi di Alfredo Zegna e dell’avv. Nino Scolari, consigliere nazionale dell’A.N.C.R. conclusero quindi la solenne commemorazione, rivelatasi un momento di sincera unione della comunità nel ricordo dei propri caduti.
Le fotografie provengono dall'archivio Lino Cremon, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
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