Il Carnevale di Biella del 1926 (13–14–15–16 febbraio) viene ricordato non solo per l’imponente organizzazione e per la massiccia partecipazione di pubblico (i giornali dell’epoca indicarono la cifra di 50.000 persone) ma anche perché per la prima volta fu portata in scena la rappresentazione del "Processo al Babi".
Il Comitato organizzativo presieduto dal prof. Marcello Oppezzo (e di cui faceva parte anche Adolfo Gremmo) aveva stilato un calendario ricco di eventi.
Domenica 14 e martedì 16 era previsto il corteo dei carri allegorici lungo le vie cittadine (il programma inizialmente prevedeva per martedì una doppia sfilata, alle ore 14 e alle 20 e 30 ma quest’ultima fu poi annullata perché, scrisse "il Biellese", «cavalieri, pubblico e maschere ne avevano già abbastanza»).
Nella giornata di domenica avrebbero avuto luogo nel pomeriggio un Convegno musicale aperto a maschere e bande e in serata il "Processo al Babi" in piazza Fiume (a proposito di questa novità, il giornale fascista "Il Popolo Biellese" scrisse: «Quello che farà epoca sarà il "Processo del Babi" […] sono già in viaggio per Biella le più famose "toghe" che l’Europa conti; i giornali hanno mobilizzato i loro migliori "reporters" si creeranno nuovi giornali per divulgare "urbi et orbi" il resoconto del processo e per tramandare ai posteri di Gipin l’importante avvenimento»);
La giornata di lunedì 15 sarebbe stata quasi interamente dedicata ai giochi popolari (corsa dell’uovo in bicicletta, rottura delle pignatte, gioco delle arance, scalata dell’albero della cuccagna, corsa delle brente, gioco della padella, pesca delle cipolle), seguiti dal concerto musicale in piazzetta della Trinità e dalla distribuzione della fagiolata in p.zza Battiani, p.zza Q. Sella, in via S. Marta e nella Borgata Rovere.
In serata, al Teatro Sociale, si sarebbe svolto il consueto "Bal dal Lunés".
Il gran finale di martedì 16 prevedeva la premiazione dei carri allegorici e l’esecuzione del Babi sul falò allestito in piazza Funicolare.
Alla Banda Verdi, supportata da un coro di 300 voci, era affidata l’esecuzione della Cansôn del Carlevé, scritta dal prof. Oppezzo e musicata dal maestro Pagella.
Durante tutti e quattro i giorni di festa sarebbe rimasto aperto in piazzetta della Trinità il Pozzo di San Patrizio (ad ogni biglietto era abbinato un premio, quindi la vincita era sicura) mentre in piazza Q. Sella sarebbero state allestite delle giostre.
L’ingresso in città di Gipin, avvenuto la sera di sabato 6 febbraio, fu il preludio alla festa vera e propria.
La maschera biellese, accompagnata dalla moglie Gipina, dal figlio Gipinotto, dal gallo, dalla capra e dall’immancabile asinello, fu ricevuta davanti alla Trattoria San Giuseppe, nel rione Riva, dai membri del Comitato; Adolfo Gremmo, nelle vesti di Governatore, la accolse con queste parole: «A voi, illustre prototipo della nostra razza, simbolo fulgente di quei tenaci montanari che hanno che hanno le scarpe grosse e i cervelli fini, emblema vivente della bonomia e dell’arguzia biellese […] porgo il saluto di tutti i vostri fratelli. Siate il benvenuto sulle nostre piazze; risuoni la vostra arguta e mordace parola alle nostre orecchie […] Il fine che quest’anno vi adduce fra noi – guerra spietata al Babi – è nobilissimo e degno del più grande encomio […] La vostra rivendicazione, la vendetta che chiederete sulle gracchianti petulanze del Babi è sacrosanta […] A voi, illustre Gipino, a donna Gipina, a Gipinotto e agli altri membri della vostra famiglia qui presenti, il nostro plauso, il nostro saluto, il nostro: Viva Gipin e la soa famija!».
Il Carnevale entrò nel vivo domenica 14 febbraio.
Molto apprezzata fu la sfilata dei carri allegorici, tra i quali spiccarono il Carro dello Scarpone, attorniato da alpini in grigioverde, il Principe della Culinaria di Borgo San Francesco, il carro Manicomio, particolarmente divertente, e il Carro monumento al padrone di casa, opera di Pippo Ferrini.
Alle 21, in una piazza Fiume stracolma di gente, andò in scena il "Processo al Babi": il dibattimento prese il via con gli interventi dell’accusatore, Gipin, e dell’accusato, il Babi; la parola passò poi al Pubblico Ministero e alla difesa e si concluse con la sentenza emessa dalla Giuria: condanna al rogo per il Babi, da eseguirsi il martedì seguente alle ore 22.
Gli ultimi due giorni di festa, lunedì e martedì, furono contraddistinti da un’enorme partecipazione popolare ("il Biellese" azzardò ad indicare in 80.000 le persone presenti): l’ottima riuscita delle varie manifestazioni fu legata anche alla mitezza del clima, che permise il regolare svolgimento di tutti i giochi.
Gran successo riscosse il ballo del lunedì al Teatro Sociale: «Chi ha partecipato a questa veglia ormai classica – commentò "Il Popolo Biellese" – […] ha avuto la sensazione che il popolo di Biella si fosse moltiplicato. Sembrava di assistere ad un veglione di grande città, per il numero degli intervenuti, per la varietà e la ricchezza delle maschere».
La giornata conclusiva, martedì 16 febbraio, vide nel pomeriggio la premiazione dei carri allegorici (il Carro dello Scarpone e il Carro monumento al padrone di casa furono giudicati entrambi meritevoli del primo posto e ricevettero un premio di 2.200 Lire), del miglior gruppo di maschere a piedi e di quelle più umoristiche, dei partecipanti al corso floreale.
In serata il grande falò su cui fu bruciato il fantoccio del Babi sancì la fine dei festeggiamenti.
Il Carnevale del 1926 si chiuse con un bilancio estremamente positivo, confermato dalle parole de "Il Popolo Biellese": «[…] il Carnevalone Biellese è riuscito quest’anno una manifestazione di grandioso e schietto entusiasmo; è stato sentito in ogni categoria, in ogni strato sociale ed occorre parlarne, non fosse altro che per costatare, almeno in Piemonte, la vitalità inalterata di tradizioni e di costumi che sembravano destinati a scomparire».
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