«Ancora oggi a Budapest, vivace e moderna capitale dell’Unione Europea, alcuni edifici pubblici e interi isolati portano i segni delle pallottole. Sono il voluto ricordo, per gli ungheresi come per i visitatori, di una tragedia vecchia di cinquant’anni che sarà sempre un modello cui ispirarsi per coloro che hanno combattuto contro la tirannia: la rivoluzione ungherese del 1956».
In poche righe Victor Sebestyen riassume il significato di uno degli avvenimenti più tragici occorsi durante la Guerra Fredda: la rivolta ungherese contro il regime comunista filosovietico al potere nel paese, soffocata poi nel sangue dall’Armata Rossa.
Per due settimane (dal 23 ottobre al 7 novembre 1956) l’opinione pubblica mondiale seguì con trepidazione l’evolversi degli eventi nello stato magiaro: «Il mondo libero – ha aggiunto con amarezza Sebestyen – inorridito e pieno di compassione, osservò i carri armati sovietici ridurre in macerie quartieri di Budapest un tempo meravigliosi. Ma i leader occidentali non mossero un dito».
Ai calcoli politici che presiedettero alla decisione degli occidentali (e in primo luogo degli Stati Uniti) di non intervenire in soccorso dell’Ungheria, lasciando che l’Unione Sovietica risolvesse con la forza una situazione potenzialmente destabilizzante per il blocco comunista, si contrapposero le iniziative umanitarie promosse in diversi stati, tra cui l’Italia, nei confronti del popolo magiaro.
Anche i biellesi parteciparono a quella gara di solidarietà.
Verso la fine di ottobre del 1956, la preoccupazione per il progressivo deterioramento della situazione ungherese trovò ampio spazio sui giornali locali di ispirazione liberale e cattolica, "Eco di Biella" e "il Biellese": «Le notizie provenienti dall’Ungheria sulla eroica rivolta di quel popolo contro la schiavitù del regime comunista e contro l’oppressione straniera – commentò il 29 ottobre il giornale fondato da Germano Caselli – hanno avuto anche nella nostra città una vasta eco […] Nelle Chiese cittadine vengono annunciate Messe in suffragio dei Caduti ungheresi mentre già si stanno predisponendo organizzazioni per la raccolta, anche nella nostra città, dei soccorsi destinati al popolo ungherese».
I primi a mobilitarsi furono gli studenti delle scuole medie, i quali la mattina di martedì 30 ottobre si raccolsero in Duomo per assistere alla messa celebrata da don Giuseppe Canova in suffragio dei morti ungheresi e per la «cessazione dell’oppressione»; nel pomeriggio ebbe luogo un imponente corteo (un’informativa inviata alla Prefettura di Vercelli indicò in circa 2000 il numero dei partecipanti) che attraversò le vie di Biella e si concluse di fronte al monumento ai Caduti dei Giardini Pubblici.
Per quanto riguarda quella che "il Biellese" definì «solidarietà più tangibile», lodevole fu l’iniziativa promossa dalla sezione provinciale dell’Avis volta a raccogliere sangue e plasma per trasfusioni da inviare in Ungheria: «[…] si è iniziato presso l’ospedale e presso la sede dei volontari del sangue, in via Repubblica 8, la prenotazione di quanti intendono contribuire a salvare con trasfusioni dei feriti gravi» ("Eco di Biella", 01.11.1956).
Tra i numerosi volontari presentatisi ci furono «molti studenti e studentesse anche al di sotto dei 14 anni, [che furono] gentilmente respinti dal Prof. Fortina, il quale non [ritenne] opportuno praticare prelievi, data la giovane età» ("il Biellese", 03.11.1956).
Intorno alla metà di novembre il presidente della sezione Ottavio De Rege Thesauro comunicò al prefetto Malinverno di avere fatto recapitare alla sede nazionale di Milano dell’Avis due cassette contenenti ciascuna dodici flaconi da 300cc di sangue.
Anche l’Unione Industriale Biellese espresse al prefetto la propria disponibilità a intraprendere tutte le misure necessarie per «alleviare [la] situazione [e] riaffermare concretamente [la] solidarietà [e la] simpatia [tra il] popolo italiano e magiaro già accomunati in passato da uguale anelito [di] libertà [e] indipendenza».
I propositi degli industriali si tradussero nell’adesione alla raccolta fondi tra i lavoratori indetta dai sindacati C.I.S.L. e U.I.L. (che consisteva nel versamento di un’offerta pari a mezz’ora di salario): i datori di lavoro contribuirono donando una cifra pari a quella raccolta tra i dipendenti.
L’Associazione Commercianti rivolse ai propri associati un appello a «riconfermare, anche in questo doloroso frangente, lo spirito umanitario che già distinse Biella in altri dolorosi eventi», annunciando l’intenzione di contribuire con la somma di 50.000 Lire alla raccolta fondi promossa da C.I.S.L., U.I.L. e Unione Industriale.
Sotto l’egida del locale comitato della Croce Rossa, le associazioni di categoria e i sindacati indissero per sabato 17 novembre una giornata dedicata alla raccolta di denaro, viveri e vestiario: «Interpretando il pensiero unanime della cittadinanza – scrisse "Eco di Biella" – bisognava imbastire qualcosa che dimostrasse ancora una volta che i biellesi sono gente d’azione, "freddi" quando si tratta di inutili chiassate ma generosi ogni qual volta si deve aiutare chi soffre, e in men che non si dica vennero gettate le basi della commovente prova di solidarietà fornita sabato scorso dalla intera popolazione in occasione della raccolta di aiuti concreti per il martoriato popolo magiaro».
Con l’ausilio di tre autocarri, i membri dell’organizzazione (per lo più studenti e studentesse, universitari e delle medie, ma anche boy scout, militi della Croce Rossa e crocerossine) percorsero le principali strade di Biella («Via Italia era imbandierata da cima a fondo») per ritirare viveri, medicinali, indumenti e giocattoli; il materiale raccolto fu accatastato nell’atrio della sede dell’Unione Industriale, dove fu poi inventariato, selezionato e imballato in sessanta grandi casse.
Le offerte in denaro ammontarono a quasi 72.000 Lire.
Domenica 2 dicembre 1956 cinque autobus carichi di aiuti per l’Ungheria raggiunsero piazza Duomo, affollata di gente e di importanti personalità del mondo politico e economico, biellese e non.
Il vescovo Carlo Rossi accompagnò la benedizione all’autocolonna in partenza con un breve ma intenso discorso: «Questo popolo eroico e cristiano si è sacrificato per la sua e per la nostra libertà. Voi che gli portate i soccorsi materiali della gente biellese ditegli che abbiamo capito il suo sacrificio e che il nostro cuore gli è vicino, che la nostra ammirazione è grande, che la preghiera accompagna i vivi e i morti ungheresi. Dio salvi l’Ungheria!».
Nel primo pomeriggio gli autobus si avviarono verso il casello di Santhià, dove era in programma il ricongiungimento con un’altra autocolonna di aiuti proveniente da Torino.
La destinazione finale, Vienna, fu raggiunta il 4 dicembre.
Dopo aver provveduto allo scarico del materiale presso la sede del Sovrano Ordine di Malta, gli autobus proseguirono in direzione dei campi profughi allestiti nei pressi del confine tra Austria e Ungheria: il compito della spedizione biellese era quello di prendere a bordo circa duecento rifugiati magiari e condurli a Udine, dove sarebbero stati affidati alle cure della Croce Rossa.
L’autocolonna fece tappa nel capoluogo friulano giovedì 6 dicembre e il giorno dopo rientrò a Biella ricevendo, scrisse l’inviato de "il Biellese" Dedo Amellone, «il cordiale e commosso saluto di chi ha seguito il nostro viaggio, nel rimpianto di non poter essere con noi».
(Leggi anche Il P.C.I. biellese e la rivoluzione ungherese)
Le fotografie provengono dall'archivio Lino Cremon, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
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