Pare che il primo paracadutista della storia sia stato Fausto Veranzio da Sebenico, autore del trattato "Machinae Novae", il quale nel 1615 si lanciò nel cielo di Venezia con il supporto di un rudimentale paracadute di forma quadrata; fu comunque necessario attendere quasi due secoli (1797) prima che i fratelli francesi J. B. Olivier e André-Jacques Garnerin ideassero e sperimentassero un vero e proprio paracadute, impiegato tuttavia come «mezzo di attrazione con tanto di brividi per le folle che accorrevano ad ammirare i temerari dell’aria di quei tempi» (L. Algardi).
La comparsa dell’aeroplano agli inizi del Novecento e il suo impiego a scopi militari durante il primo conflitto mondiale stimolò la trasformazione del paracadute in strumento di salvataggio aereo: «[…] ciascuno dei Paesi belligeranti – ha affermato Leonado Algardi – si preoccupò di fornirlo ai propri piloti militari affinché potessero tentare di salvarsi nel caso in cui il loro apparecchio fosse stato attaccato da aerei nemici o dalla contraerea».
Nel primo dopoguerra l’Italia non brillò nel campo del paracadutismo: si dovettero infatti attendere gli anni Venti prima che fosse realizzato un paracadute di fabbricazione italiana.
Il modello "Salvator", prodotto dalla società fondata dall’ex pilota Prospero Freri insieme a Giuseppe Furmanik, fu collaudato nell’ottobre del 1923; perfezionato negli anni compresi tra il 1925 e il 1930, il "Salvator" è stato il modello di paracadute in dotazione all’Aeronautica Militare per circa trent’anni.
Nel 1940 fu presentato un nuovo paracadute italiano, il "Lisi" (dal nome del suo inventore, Giuseppe Lisi), innovativo per quanto riguardava la possibilità di regolare la velocità di discesa e quindi particolarmente indicato per l’impiego militare.
Nel 1938, su iniziativa di Italo Balbo, fu istituita in Libia una scuola di paracadutismo inizialmente riservata agli ascari; due anni dopo entrò in attività a Tarquinia la Regia Scuola Paracadutisti dell’Aeronautica (trasferita nel 1943 a Viterbo), i cui allievi andarono in seguito a formare la 1ª (poi 185ª) Divisione paracadutisti "Folgore", destinata a legare indissolubilmente il suo nome alle drammatiche vicende belliche del teatro nord-africano, e in particolare alla battaglia di El-Alamein (ottobre – novembre 1942).
Lo scenario che si configurò in Italia dopo l’armistizio dell’8 settembre condusse i reparti paracadutisti a schierarsi in parte con gli Alleati, nel Corpo Italiano di Liberazione, in parte con la Repubblica sociale di Mussolini.
Risale al gennaio del 1946 la nascita dell’Associazione Paracadutisti Italiani, primo embrione di quella che quattordici anni dopo, nel 1960, diverrà l’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia; in quel lasso di tempo comparvero prima l’Associazione Sport Aerei, poi la Federazione Italiana Paracadutismo Civile Sportivo.
Da qui inizia la nostra storia sui paracadutisti biellesi.
L’Associazione Biellese Paracadutismo Civile Sportivo, affiliata alla F.I.P.C.S., fu costituita il 5 gennaio 1951; a darne notizia furono i giornali "Eco di Biella" e "il Biellese", i quali resero note anche le finalità del nuovo sodalizio: «[…] tener vivo lo spirito del paracadutismo italiano promovendo manifestazioni e iniziative che, mentre contribuiscono al suo perfezionamento tecnico, ne favoriscano la divulgazione in modo che le associazioni affiliate alla F.I.P.C.S. diventino scuole di patriottismo e di ardimento sportivo» ("Eco di Biella", 22.01.1951; "il Biellese", 26.01.1951).
Il consiglio direttivo era formato dal presidente Ciro Dai, ex maresciallo paracadutista originario di Lucca Sicula; dal vice presidente Pietro Vernicari, sergente maggiore pilota; dal segretario Riccardo Benvenuti; dal direttore tecnico Rodolfo Lo Monaco, anch’egli siciliano; dal cassiere Francesco Falardi, e dai consiglieri Adino Defaveri e Ottavio Pedemonte, «tutti paracadutisti brevettati»; in mancanza di una sede propria, l’Associazione aveva provvisoriamente trovato ospitalità presso la Società Sportiva "Pietro Micca" in via Vescovado.
In un articolo intitolato "Affidare la propria vita ad un congegno di funi e di seta", "Eco di Biella" (01.03.1951) ricostruì la storia dell’associazionismo paracadutista post bellico e fornì alcuni dettagli sull’attività della F.I.P.C.S. e sui requisiti di ammissione alla stessa: «La Federazione, per mezzo delle sue Sezioni, organizza corsi di preparazione e di addestramento e riunioni di propaganda, che hanno un eccezionale valore spettacolare in quanto procurano quel “brivido” che tanto piace al gusto odierno. Ammette nel suo seno come soci onorari le persone che sussidiano le sue iniziative, come effettivi gli aspiranti al brevetto. Sono accettate anche le donne»; riferendosi alla sezione biellese, il bisettimanale diretto da Germano Caselli annunciò che essa aveva «un nutrito programma da svolgere che avrà esecuzione nei prossimi mesi».
Verso la fine di giugno "il Biellese", segnalando che «i membri giovani e anziani dell’Associazione Paracadutisti Biellesi si [erano] recati all’Istituto Medico Legale dell’Aeronautica per essere sottoposti alla visita psicofisiologica per l’idoneità ai lanci» e che dei diciotto allievi giudicati idonei, quattro avrebbero eseguito il primo lancio a Casale Monferrato domenica 24 giugno, aggiunse che era «indetta a Biella per la seconda domenica di settembre una grande manifestazione paracadutistica con la partecipazione degli assi Cannarozzo, Rinaldi e Milani»: in realtà, per assistere a tale manifestazione i biellesi dovettero attendere l’estate successiva.
Durante l’assemblea annuale della sezione, svoltasi sabato 12 gennaio 1952, Riccardo Benvenuti, subentrato a Ciro Dai nella carica di presidente, annunciò la preparazione di una manifestazione avio – paracadutista a Biella «come dal calendario nazionale lancistico».
Nelle settimane successive la vita della sezione fu quindi caratterizzata da un’intensa attività.
Ad aprile il sodalizio, intitolato a Filippo Uecher (giovane biellese arruolatosi volontario nel reggimento "Folgore" della Rsi e caduto il 6 giugno 1944 a Roma – Settebagni) si traferì nella sede di via San Giuseppe 7, assumendo ufficialmente la denominazione di Associazione Paracadutisti Biellesi e provvedendo alla nomina del nuovo consiglio direttivo, con Francesco Bocca presidente onorario e Franco Bozia, direttore del Lanificio Modesto Bertotto, presidente effettivo; il ruolo di istruttori era ricoperto da Silvano Gregoric, Benito Zottarel e Willi Breit, mentre tra i consiglieri spiccava la giovane Anna Maria Franzoso, una delle primissime rappresentanti del gentil sesso a cimentarsi in Italia con il paracadutismo, preceduta soltanto da Alba Russo, lanciatasi da un’altezza di 400mt sul campo di aviazione di Capodichino il 13 maggio 1924.
Nata a Biella il 17 luglio 1931, la Franzoso si era iscritta al sodalizio paracadutistico biellese nel gennaio del 1952.
L’abilitazione al lancio arrivò nel mese di maggio ma un intoppo burocratico (il ritardo del Ministero a concedere l’autorizzazione) le impedì di ricevere il suo battesimo dell’aria durante la grande manifestazione aero-paracadutistica in programma al campo di volo di Gaglianico per la seconda domenica di giugno.
Anna Maria Franzoso ebbe comunque l’opportunità di rifarsi negli anni successivi, arrivando a collezionare non meno di cento lanci e proponendosi come uno degli elementi più attivi dell’Associazione Paracadutisti Biellesi, della quale è stata Alfiere fino alla morte (avvenuta nel 2013).
La manifestazione aero-paracadutistica, alla cui riuscita contribuì anche l’Aereo Club di Biella, entrò nel vivo nel tardo pomeriggio di domenica 8 giugno 1952, quando sul campo di aviazione di Gaglianico ebbero inizio i lanci degli "arditi dell’aria": «La giornata, calda e bellissima, – commentò "il Biellese" (10.06.1952) – ha favorito questa manifestazione che la Associazione Paracadutisti Biellese […] ha organizzato alla perfezione. Un pubblico entusiasta e numeroso era presente, dimostrando chiaramente che la passione per questo pericoloso genere di sport è tutt’altro che sopita».
Tra gli ospiti illustri spiccavano il ministro Giuseppe Pella e il sindaco di Biella Bruno Blotto Baldo, oltre a «migliaia di persone dietro le staccionate, belle ragazze presso i tavoli del bar sparsi sul prato, fotografi in quantità, operatori cinematografici» ("Eco di Biella", 09.06.1952).
Il primo a lanciarsi fu Franco Bozia, che recava con sé il nuovo gagliardetto dell’Associazione; nel cielo di Gaglianico apparve poi un S.M. 82 decollato da Torino, dal quale si lanciarono prima diciassette paracadutisti da una altezza compresa tra i 250 e i 300mt, quindi Armando Picozzi, la cui esibizione fu funestata (fortunatamente senza conseguenze) dalla rottura del meccanismo del paracadute: lanciatosi da quota 800mt, fu sospinto dal vento e costretto ad atterrare nel giardino del Castello Trossi.
Gli spettatori presenti rimasero con il fiato sospeso anche durante il lancio di Giuseppe Gravone: «[…] solo ad una ventina di metri (e forse nemmeno), quando già il pubblico stava per urlare, Gravone spiegò al completo il paracadute, evitando per una frazione di secondo di massacrarsi al suolo».
A concludere la serie di esibizioni furono gli assi Elio Cavatorta, Pietro Persevalli e Sauro Rinaldi; quest’ultimo, lanciatosi in caduta libera da quota 2000mt, con una torcia che sprigionava una densa scia di fumo, dovette fronteggiare un malfunzionamento del paracadute, che si aprì quando il suolo distava ormai solo 70 metri: «La gente, sotto, respirò iniziando subito dopo ad applaudire freneticamente».
Le fotografie provengono dall'archivio Cesare Valerio, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella
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